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sabato 29 settembre 2007

Un solo grido dai blog italiani. Libertà per la Birmania (Myanmar)

Aggiungete questo post e questa immagine al vostro blog!

Nota: questo è un nuovo tipo di protesta on-line che usa i blog per diffondere una petizione a livello globale. Per partecipare, aggiungi il tuo blog seguendo le istruzioni che troverai in questo post. Questa non è una questione di partiti politici, questo è un problema di diritti umani basilari e democrazia.

Per piacere aiutate a prevenire una tragedia nella Birmania/Myanmar aggiungendo il vostro blog e chiedendo ad altri di fare lo stesso. Facendo circolare questo meme attraverso la blogosfera probabilmente potremmo portare più sensibilità sul problema ed evitare una seria tragedia. Come cittadini del mondo, questo è qualcosa che i blogger possono fare per aiutare.

Come partecipare:

1. Copiare questo intero post nel tuo blog, compreso questo numero: 1081081081234;

2. Dopo alcuni giorni puoi cercare con Google il numero 1081081081234 per trovare tutti i blog che partecipano a questa protesta e petizione. Nota: Google indicizza i blog a differenti livelli, per cui è possibile che ci voglia più tempo perché il tuo blog appaia tra i risultati. Indipendentemente dalla traduzione il numero rimane identico e perciò valido.

La situazione nella Birmania/Myanmar e perché ci riguarda tutti. Non c’è libertà di stampa nella Birmania/Myanmar e il governo ha incominciato a bloccare Internet e altri mezzi di comunicazione, per cui è difficile ottenere le notizie dall’esterno. Singole persone sul campo stanno mandando i loro comunicati alla BBC e sono sconcertanti.

Vi incoraggio a leggere questi resoconti per vedere da voi quello che sta succedendo nella Birmania/Myanmar (in inglese). Qui, invece, le notizie raccolte da Google in italiano sulla Birmania. La situazione nella Birmania/Myanmar è sempre più pericolosa. Centinaia di migliaia di protestanti pacifici e disarmati, compresi monaci e monache, stanno rischiando le loro vite marciando per la democrazia contro una dittatura impopolare, ma ben armata che non si fermerà pur di continuare il suo dominio repressivo. Mentre i generali al potere e le loro famiglie sono letteralmente grondanti di oro e diamanti, la popolazione della Birmania/Myanmar è impoverita, privata dei diritti umani basilari, tagliata fuori dal resto del mondo e sempre più sotto la minaccia della violenza.

Questa settimana la popolazione della Birmania/Myanmar si è sollevata collettivamente nella più grande dimostrazione pubblica contro la dittatura militare dominante da decenni. È una dimostrazione di coraggio, decoro e democrazia attiva sorprendente. Ma nonostante queste proteste siano pacifiche, i despoti militari stanno incominciando a reprimerle con la violenza. Ci sono già state almeno alcune morti confermate, e centinaia di feriti gravi causati dagli scontri tra soldati e cittadini disarmati.

Il numero attuale di vittime e feriti è probabilmente di gran lunga peggiore, ma le uniche notizie che abbiamo vengono da singole persone che riescono a far passare i loro resoconti attraverso il cordone imposto dalle autorità. Sfortunatamente sembra che presto potrà esserci un bagno di sangue su larga scala, e le vittime saranno per lo più donne, bambini, gli anziani e i monaci e monache disarmate.

Contrariamente a quello che i governi birmano, cinese e russo hanno affermato, questo non è solo un problema di politica interna, è un problema di importanza globale e colpisce la comunità globale. Come cittadini interessati non possiamo permettere che qualunque governo, in nessun luogo al mondo, usi la sua forza militare per attaccare e uccidere cittadini disarmati che stanno dimostrando pacificamente.

In questi tempi moderni, la violenza contro civili disarmati non è accettabile e se è permesso che accada, senza serie conseguenze per i suoi perpetratori, questo crea un precedente perché succeda ancora da qualche altra parte. Se vogliamo un mondo pacifico, spetta ad ognuno di noi opporre resistenza personalmente contro questi problemi fondamentali, dovunque essi si presentino.

Per piacere unitevi a me nel chiedere al governo birmano di negoziare pacificamente con i suoi cittadini, e alla Cina di intervenire per prevenire ulteriore violenza. E per piacere, aiutate a sollevare l’attenzione degli sviluppi della Birmania/Myanmar così che sia possibile evitare un disastro umano su larga scala.Grazie.

martedì 25 settembre 2007

Free Open Source Software: nuova opportunità per il business?

Ormai viviamo in una società in cui la condivisione della conoscenza è diventata parte integrante del nostro modo di essere. Dalla musica al software, dai video alle immagini, tutto sembra a disposizione degli utenti su Internet e per di più a costo zero. Ad esempio il programma di tipo free/open source (FOSS) Firefox, distribuito gratis (e legalmente) on line, ha raggiunto una diffusione planetaria, facendo preoccupare persino colossi come Microsoft e IBM.

Tuttavia, il fenomeno è molto più complesso di quanto sembri, pochè coinvolge vari "attori" (in primis le imprese e la comunità degli sviluppatori di FOSS) che danno vita a dinamiche non sempre facili da analizzare. Il FOSS è una nuova arena che le imprese possono convertire in enormi opportunità di profitto. In uno scenario del genere, tutte le strategie vengono ribaltate. Chiaramente imprese che incentrano il loro business sulla vendita di software "non aperti" trovano una certa difficoltà ad adattarsi a queste novità. Al contrario, imprese con meno investimenti in servizi tradizionali di vendita di software proprietario saranno le prima a cogliere la nuova domanda.

Altro fattore determinante è la tecnologia a disposizione delle imprese. Se il mondo del FOSS si basa su uno spazio aperto, dove l'innovazione è diffusa a costo zero, per le imprese sarà importante essere in grado di assimilare tale prassi. Ciò significa che le imprese con maggiori capacità di assorbimento e sfruttamento delle conoscenze pubbliche sono quelle meglio equipaggiate per creare canali di apprendimento stabile con la comunità.

L'identikit dell'impresa che risulta meglio posizionata per sfruttare sistemi FOSS è presto fatto: un'impresa con ampie conoscenze nel software, il cui business principale non sia il classico software proprietario. E' evidente che questa descrizione può essere applicata ad una rosa molto ristretta di soggetti: imprese di hardware, telecomunicazioni e semiconduttori con solide conoscenze software. E infatti se andiamo a vedere le aziende più attive nella produzione di prodotti basati sul FOSS e nell'interazione con la comunità incontriamo IBM, HP, Novell, Sun. Poche, grandi imprese.
Ma le imprese sono solo una faccia della medaglia. Spostando l'attenzione sulla comunità, la domanda centrale cui è doveroso fornire una risposta è relativa alle motivazioni che spingono migliaia di sviluppatori a distribuire il prodotto delle loro fatiche senza chiedere alcun compenso monetario. Vari studi empirici (es. i questionari FLOSS-EU e FLOSS-US) e teorici hanno provato a rispondere a questo quesito. Sono state riconosciute due principali categorie di incentivi che intervengono a sostenere l'attività degli sviluppatori: gli incentivi estrinseci (aspettative di guadagni futuri ottenibili dall'accresciuta reputazione, uso del particolare software sviluppato, ...) e quelli intrinseci (incentivi tipici dei movimenti sociali e della spinta psicologica alla creatività, al senso della sfida, ...). Nella realtà non si osserva alcun modello puro. Le due componenti, diversamente importanti in luoghi, tempi e per individui diversi, viaggiano di pari passo.

Questo vuol dire che nessuna impresa può pensare di intrattenere un rapporto con la comunità basato solo sulla dimensione estrinseca delle motivazioni. Il costo sarebbe la costruzione di una relazione vuota con la comunità, e di conseguenza l'impossibilità di catturare le sue immense energie. L'elemento intrinseco ha quindi un'importanza strategica fondamentale. D'altronde, proprio perché è collegato ad una dimensione personale, parzialmente "fuori" dal controllo di imprese, le politiche da costruire in questo caso non possono avere carattere di "indirizzo" ma devono essere "abilitative": invece di cercare di dirigere la comunità, devono agire sui limiti spaziali entro cui essa si muove, allo scopo ampliarli.

La presenza di due soggetti innovatori (imprese e comunità) potrebbe favorire la diffusione di tecnologie con usi estesi a più settori. Quest'ultime sono considerate come una delle principali fonti di crescita economica duratura. Ma proprio a causa del fatto che queste tecnologie si "spargono" e vanno a premiare tutta una serie di attori non direttamente collegati con l'innovatore, non è semplice per le imprese recuperare i capitali investiti per realizzarle. Difficilmente qualche impresa sarà portata ad investire su questo tipo di tecnologia.
Il modello FOSS rappresenta un'alternativa a questo stato di cose, dove la comunità produce innovazioni (come il software) che possono poi essere adattate dalle imprese nei loro singoli settori, aumentando il livello di sperimentazione, salvaguardando l'accesso continuo al bene pubblico che è il software. Un esempio di questa convivenza è l'industria del software embedded, con l'esistenza di standard aperti come LonWorks®, che è uno degli strumenti più ricercati nell'ambito del controllo remoto. Qui alcuni individui contribuiscono all'ampliamento e al miglioramento del bene comune, traendo profitti dall'utilizzo locale nell'industria in cui operano.

Per concludere sottolineiamo che non è possibile immaginare di preservare o espandere il modello FOSS se non ci si impegna a tutelare anche l'ambiente comunitario che innerva quel modello. In questo caso lo sviluppatore non ha solo il compito di adottare un'accorta politica dei diritti proprietari, ma più generalmente deve costruire ambienti in grado di ospitare -se non addirittura ''incubare''- le comunità.

Il grande merito del FOSS è però quello di ''sciogliere'' i confini tra il settore del software e gli altri mercati attigui, e sostituire il regime tipico di questo mercato con un diverso tipo di regole concorrenziali. Come la comunità possa reagire a questa mutazione, è ancora una domanda molto aperta.

martedì 18 settembre 2007

Wikinomics: verso un'economia fondata sulla collaborazione

Si è tenuto a Berlino il 10 ed 11 Settembre, l'IDC European It Forum, per fare il punto sullo stato dell'arte delle nuove tecnologie in Europa e del loro impatto sul mondo del lavoro futuro.
Dal convegno è emerso che l'internet di seconda generazione (il cosiddetto Web 2.0), che si appresta a raggiungere la sua terza fase, inizia a modificare sensibilmente l'economia mondiale con paradigmi figli della maturazione delle generazioni di navigatori, dei sempre più sofisticati strumenti software utilizzati e della sempre maggiore velocità con cui le informazioni si diffondono in Rete.

La collaborazione di massa, la nascita di reti sociali, lo scambio peer-to-peer, le licenze di copyleft, hanno dato vita a fenomeni rivoluzionari quali l'Open Source, che ha modificato l'economia del software e Wikipedia, l'enciclopedia online creata dagli stessi utenti.
Una delle voci più autorevoli che si è distinta durante il meeting è stata quella del professor Don Tapscott divenuto famoso in tutto il mondo negli ultimi dodici mesi per il suo libro best seller Wikinomics, distribuito da poche settimane anche in Italia. Nel testo, per certi versi assolutamente rivoluzionario, Tapscott prevede un forte cambiamento nel prossimo futuro per il lavoro di tutti noi, con Corporations sempre più "aperte" all'esterno e dove ai tradizionali lavori e lavoratori si aggiungeranno nuove figure e nuove professioni che oggi ancora non esistono.
Ma cosa si intende esattamente per Wikinomics? E' lo stesso professore a fornire una risposta:

"La Wikinomics è la teoria e la messa in pratica della nuova collaborazione di massa. Wiki si riferisce al software che dà oggi la possibilità ad una incredibile moltitudine di persone di aggiungere e modificare documenti su Internet, ma è diventata una metafora per indicare la collaborazione che avviene su scala "astronomica" oggi nel nostro mondo grazie ad Internet. Si può realizzare un'enciclopedia collaborando assieme a milioni di persone che non si conoscono così come implementare nuovi Software, senza muoversi dalla scrivania.
In quali settori potrà essere applicata questa teoria? Tapscott ne individua alcuni: "Possiamo vedere esempi in tutte le attività economiche senza distinzioni.
I giovani di oggi sono spesso all'avanguardia ma sono persone che considerano il Web 2.0 non come nuova tecnologia ma come l'aria che si respira - un elemento trasparente ma indispensabile della nostra vita, è come il frigorifero o l'automobile per la generazione dei baby boomers, oggi nessuno più si stupisce dell'uso di tali tecnologie! Possiamo avere applicazioni della Wikinomics in tutti i settori, Finanza, Assicurazioni, Media, penso a Google ed altri Conglomerati Digitali che hanno già reso le loro organizzazioni compatibili con il Web 2.0 ma è un fenomeno che andrà a diffondersi in ogni area economica".

Questa logica innovativa è destinata a pervadere l'economia e a rivoluzionare l'organizzazione aziendale, avviando nuove forme di partecipazione dei dipendenti nei confronti del business. "E' proprio nel cuore delle aziende che si iniziano queste rivoluzioni; basti pensare che i primi produttori di software collaborativi sono stati le imprese che hanno testato questi sistemi al loro interno, verificando un notevole incremento di produttività, prima di poter esportare tali metodi all'esterno. Ricordiamo ad esempio Google, ma anche Sun, IBM, Yahoo o Microsoft".
Secondo Tapscott in futuro le Corporations non spariranno, ma ad esse si affiancheranno nuovi modelli di business. "Nei prossimi 20 anni, assisteremo a grandissimi cambiamenti nel mondo del lavoro che non sono stati osservati probabilmente negli ultimi 50. Il tasso di mortalità e trasformazione delle aziende aumenterà rapidamente a favore di nuove realtà che stanno sorgendo in questo periodo.
E aggiunge: "la classifica di Fortune 500 fra venti anni sarà ben diversa dall'attuale. Penso ad esempio ai due "continenti" emergenti quali Cina e India che nei prossimi decenni avranno uno sviluppo impressionante, saranno il motore di questa nuova economia e non solo nel campo industriale come tutti noi oggi crediamo, ma soprattutto nei settori nuovi di produzione di idee e conoscenza la cosiddetta Knowledge Economy: già ora la Cina forma ogni anno più ingegneri di tutto il mondo occidentale".

giovedì 13 settembre 2007

La telemedicina diventa mobile

Da oggi prenotare una visita medica specialistica non sarà più un problema, grazie all’aiuto di tecnologie mobili sempre più orientate al benessere e alla salute.
Almeno in campo alimentare, infatti, il telefonino potrebbe trasformarsi in un’utile alleato in fatto di consigli nutrizionali.
La società canadese Myca ha appena lanciato il servizio MyFoodPhone che, per 10 dollari al mese, permette agli utenti di scattare una foto al proprio pranzo e inviarla ai nutrizionisti della compagnia.
Inoltre la medesima azienda sta per lanciare Doctorphone e Babyphone, due applicazioni che offrono a pazienti e genitori la possibilità di tenere videoconferenze istantanee con il medico.

Myca si propone quindi come il pioniere di quella che può essere definita Telemedicina 2.0: lo conferma il successo di MyFoodPhone che da maggio dello scorso anno è stato utilizzato da oltre 5 mila persone le quali ogni due settimane ricevono video-email con suggerimenti nutrizionali personalizzati.
I due nuovi servizi Doctorphone e Babyphone, ancora in fase sperimentale, hanno mire un po’ più ambiziose: entrambi consentono agli utenti di collegarsi in videoconferenza con un team di medici e infermieri selezionati a cui possono comunicare il battito cardiaco, la temperatura e altri dati che vengono archiviati per i futuri controlli.

sabato 8 settembre 2007

Vola con Google Flight Simulator

Un solo, semplice comando: Ctrl+Alt+A e sarete subito in volo. Non è uno scherzo ma l'ultima, entusiasmante, trovata di Google. Con una piccola combinazione di tasti, una volta entrati in Google Earth (versione 4.2) sarete in grado di pilotare l'aereo dei vostri sogni.
Al momento sono disponibili soltanto due modelli, l'ultramoderno "Viper" F16 e il turistico SR22 ma tutto lascia presagire che presto il loro numero crescerà decisamente.

La seconda scelta da compiere è relativa al contesto di volo: si può selezionare un aeroporto specifico oppure sorvolare la zona preferita. State molto attenti però: come in un videogioco, quando per errore ci si schianta al suolo l'immagine sfuma ed occorre ripartire da capo.
Il vero punto di forza di questa applicazione risiede altresì nell' interfaccia per controllare il volo. Semplici indicazioni segnalano inclinazione, altitudine ed altri parametri: il tutto è controllabile tanto con le combinazioni di pulsante pubblicizzate, quanto con il mouse direttamente sulla schermata. Potete ruotare la vista del pilota, gestire la manetta, modificare i flap, il timone di coda, il carrello di atterraggio il freno, e tutto quello che c’è in un simulatore.
E' anche possibile optare per il joystick, sebbene il pilotaggio risulti leggermente più difficile. Un ulteriore vantaggio deriva dalla totale gratuità del programma. Il download è offerto sul sito ufficiale del servizio e occupa appena 12.7 Mb.
Per maggiori informazioni visitate il sito: http://earth.google.it/

mercoledì 5 settembre 2007

Come insegnare ai computer a vedere

Tommaso Poggio,
neuroscienziato e "Eugene Mcdermott Professor" al Massachusetts Institute of Technology (MIT) di Boston che si occupa di progetti dedicati alla visione dei computer - come quelli per lo sviluppo dei sistemi ingegnerizzati per il riconoscimento dell’immagine - ha sempre creduto che la distanza tra "computer science" e le neuroscienze fosse incolmabile.

Fino a quando, circa un anno fa, la sua prospettiva è cambiata di colpo e in maniera radicale: il punto di svolta è stata una scoperta sorprendente; un modello preliminare, su cui stava lavorando da cinque anni che applica le conoscenze sulla corteccia visiva e si è rivelato addirittura migliore dei più efficienti sistemi ingegnerizzati per alcuni compiti di riconoscimento di immagini naturali estremamente complesse. Un risultato che lo ha convinto ad investire tempo ed energie nella comprensione di come la corteccia visiva del cervello identifica gli oggetti e le scene.

Cerchiamo di descrivere il suo approccio innovativo:
Il sistema visivo umano individua rapidamente e senza sforzo un gran numero di oggetti nell’ambiente naturale. In particolare è in grado di categorizzare immagini come i volti e poi identificarli uno a uno. Tuttavia questa capacità - fondamentale nella visione dei computer - è di difficile applicazione per le macchine ed è considerata un problema computazionale di non facile risoluzione.

Grazie alla ricerca sui primati svoltasi nell’ultimo decennio si hanno molti dati sui meccanismi corticali del identificazione che sembrano confermare e approfondire una serie di teorie ormai condivise della neuropsicologia. E, se queste sono le informazioni, che cosa possiamo dire della nostra comprensione attuale del riconoscimento visivo? Siamo liberi insomma di sviluppare una teoria che ci conduca a un modello in grado di far processare le immagini a un computer proprio come fa il nostro cervello?

Uno dei primi modelli di riconoscimento visivo degli oggetti è stato il «Neocognitron» di Fukushima nel 1980 ed è servito di base per la teoria più recente: questa, a sua volta, è il prodotto di numerose simulazioni al computer che tentano di mettere insieme un gran numero di dati sia anatomici sia fisiologici.
Un approccio del genere unifica livelli diversi di analisi, dalla computazione alla psicofisica, fino alla fisiologia e all’anatomia. Il risultato più interessante è che il modello ottenuto funziona meglio di molti dei più recenti sistemi di «computer vision» destinati a compiti di riconoscimento di immagini naturali. La sua caratteristica vincente è di avere un comportamento simile a quello di una persona che deve catalogare immagini molto velocemente e senza l’ausilio di movimenti oculari, rispondendo con lo stesso livello di correttezza e persino facendo errori sulle stesse immagini.

"Purtroppo però siamo ancora lontani dal risolvere l'intricato enigma della visione", dice Poggio, "in quanto essa va al di là del semplice riconoscimento degli oggetti e la corteccia visiva del cervello è molto di più di una semplice area dedicata alle funzioni della visione stessa".

"Inoltre nella sua forma attuale il modello non è in grado di replicare la visione normale di tutti i giorni, che richiede i movimenti oculari e una serie di processi di attenzione che vengono mediati da diverse aree cerebrali".

Ora la questione aperta è se nei prossimi anni si potranno estendere questi risultati promettenti, creando una teoria completa della visione. L’approccio richiede i diversi contributi della fisiologia, della psicofisica, del fMRI (le immagini a risonanza magnetica) e anche delle ricerche sull’Intelligenza Artificiale. Il progetto dovrebbe portare non soltanto a comprendere una parte importante del nostro cervello, ma anche a costruire macchine che imparano a vedere. Ciò potrebbe significare che è arrivato il momento per l’Intelligenza Artificiale di farsi guidare dalle scoperte delle neuroscienze.

lunedì 3 settembre 2007

Il ritorno di mister web: così cambia la rete

Desidero fare un omaggio al grande Franco Carlini, scomparso in questi giorni, pubblicando il suo ultimo articolo apparso lo scorso 30 Agosto sul Corriere, in cui analizza il futuro di Internet:
È sempre lui, Tim Berners-Lee, ormai baronetto inglese, il più visionario del web. Fu lui, nei primi anni ' 90, a inventarne il protocollo che lega una pagina all' altra, attraverso appositi link immersi nei testi, in una «ragnatela grande come il mondo», il world wide web, appunto. E fu lui a sognare un mondo di conoscenze interconnesse e di idee condivise. La qual cosa sta appunto concretamente avvenendo, in quell' ambiente tanto virtuale quanto reale che viene chiamato il Web 2.0, la seconda ondata della rete, caratterizzata da una spinta interattività delle pagine: quello che ieri si leggeva soltanto, ora è possibile commentarlo, arricchirlo.

Le notizie e le conoscenze sparpagliate per il pianeta così diventano pubbliche (vengono «pubblicate») e ognuno può essere autore. Ognuno secondo la sua competenza, autorevolezza o frivolezza. C'è chi fa il suo diario personale - un blog - per raccontare agli amici l' ultima serata in pizzeria; chi compila testi per l' enciclopedia Wikipedia, ormai un robusto repertorio di informazioni di base con quasi 2 milioni di voci; ci sono milioni di persone che depositano il proprio profilo personale sui social networks come MySpace, Facebook, o in Italia Dada.net (società partecipata dal gruppo editoriale Rcs, editore di questo giornale). O ancora nei molti siti per i filmati online, di cui YouTube è solo il più noto, ma non l' unico.

Luoghi di incontri, di relazioni tra lontani, ma anche tra compagni di scuola o di ufficio. La passione per le sigle numeriche, fa sì che già da tempo si parli del web 3.0, la cui definizione peraltro è assai confusa. Secondo il buon Tim la sua caratteristica sarà di essere un web semantico, e cioè capace di estrarre automaticamente i significati dalle frasi e dalle parole, di modo che la ricerca e la connessione tra le idee possa essere in larga misura automatizzata, da macchina a macchina, ma per aiutare meglio gli umani a fare quella cosa che a loro piace assai: chiacchierare, conversare, godere del piacere di un dialogo, frivolo o serio che sia. E conversando produrre collettivamente idee nuove: la «sapienza delle masse», come descritta nell' omonimo libro dal saggista americano James Michael Surowiecki: quella che emerge dal basso e si consolida in punti di vista condivisi.

La nuova ondata è partita sull' onda delle intuizioni dei giovani vecchi come Berners-Lee (52 anni), Vinton Cerf (64), Ray Ozzie di Microsoft (52), ma ha trovato altri protagonisti che le hanno fatte proprie, realizzate e magari trasformate in imprese di successo finanziario. Oltre alle famosissime coppie di Stanford che inventarono Yahoo! (Jerry Yang e David Filo) e Google (Larry Page e Sergey Brin), come non esprimere un sentito ringraziamento a quelli del software aperto, a cominciare dal finlandese Linus Torvalds? E a quelli delle connessioni «da pari a pari» tra computer (p2p), come l' inventore del popolare software Bit Torrent, Bram Cohen. Per non dire dell' instancabile coppia fatta da Niklas Zennstrom, svedese, e Janus Friis, danese, che nel loro curriculum di trentenni hanno all' attivo Kazaa (scambio di file musicali), Skype (telefonia via Internet) e di recente Joost, una web tv anch' essa p2p.

Tra i giovanissimi l' invidia e l' ammirazione andranno soprattutto a Mark Zuckerberg, 23 anni, e a Jon Lech Johansen, 24. Il primo si è inventato il social networks oggi più di moda, Facebook, inizialmente destinato agli studenti dei college, ma ora esploso a scala mondiale; lo gestisce insieme con le sorelline, ha rifiutato sdegnosamente offerte miliardarie da Viacom e Yahoo!. Sembra divertirsi e forse progetta di andare in Borsa da solo. Quanto al norvegese Johansen, è soprannominato «DVD Jon» perché fu il primo a scardinare i sistemi di protezione anticopia dei DVD. Cercarono di processarlo sostenendo che la sua era violazione grave del copyright, ma venne assolto e tuttora continua nelle sue «malefatte»; l'ultima impresa è stata di dimostrare come i nuovi cellulari della Apple, iPhone, potessero essere sganciati dal fornitore cellulare At&t e liberamente attivati, indipendentemente dall' abbonamento.

È uno di quei casi in cui la tecnologia digitale e di rete mostra tutta le sue potenzialità di «distruzione creativa», scuotendo modelli e business consolidati e costringendo tutti a ripensare se stessi e il proprio modo di operare, reinventandosi. Gli effetti si fanno sentire anche nella vita civile e politica, dove le «caste» ormai devono fare i conti e confrontarsi con il caos creativo che li investe dal basso. In questo caso il processo è più lento, perché grandi sono le inerzie, ma gli scossoni si avvertono, persino nel mondo politico italiano, sia pure tra ingenuità e contraddizioni. Non abbiamo ancora la nostra Arianna Huffington, che gestisce l' omonimo blog politico, tra i più influenti, né il nostro Markos Moulitsas Zuniga di DailyKos, ma il sentiero è segnato ed è buono per la democrazia, virtuale e soprattutto reale.

Franco Carlini
30 agosto 2007
 
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